Fondazione Prada

Michele Di Francesco

Michele Di Francesco (1956) è Professore ordinario di Logica e Filosofa della Scienza presso la Scuola superiore Universitaria IUSS Pavia, di cui è stato rettore dal 2013 al 2019. Membre Associé dell’Institut Jean-Nicod (CNRS, EHESS, ENS) di Parigi e Presidente della Società Italiana di Neuroetica e filosofia delle neuroscienze (SINe). È stato Presidente della European Society for Analytic Philosophy (dal 2008 al 2011) e della Società Italiana di Filosofia Analitica (dal 2004 al 2006).

È autore e curatore di una ventina di volumi e di più di un centinaio di saggi pubblicati in riviste scientifiche e volumi su temi quali la filosofia del linguaggio, la filosofia della logica e la filosofia della mente e delle scienze cognitive. I suoi principali campi di ricerca sono la filosofia della mente e la filosofia della scienza cognitiva, e in particolare i problemi filosofici dell’esperienza soggettiva (come la natura del Sé e la collocazione della coscienza nell’ordine naturale), il modello mentale esteso della cognizione e le basi filosofiche delle neuroscienze cognitive.

 

VENERDÌ, 13 NOVEMBRE 2020, 19:00–21:00 (CET)
DISCUSSIONE 5 | COSCIENZA: LE DOMANDE ANCORA APERTE (DUE DIVERSE PROSPETTIVE)

Cinquant’anni di coscienza: una lettura filosofica

«Come avvenga che qualcosa di così notevole come uno stato di coscienza sia il risultato della stimolazione del tessuto nervoso è tanto inspiegabile quanto la comparsa del Genio nella favola, quando Aladino strofina la lampada.» (T.H. Huxley, Lessons in Elementary Physiology, Macmillan, London 1866.)

Questa citazione esprime lo sconcerto dello studioso di neuroscienze rispetto al rapporto tra la coscienza e la sua base fisica. Essa risale all’Ottocento ed enormi progressi sono stati da allora compiuti dalle scienze della mente. Ci si aspetterebbe dunque che lo sconcerto sia ormai del tutto superato. Tuttavia, dal punto di vista filosofico il germe della sfida (concettuale prima ancora che scientifica) colta da Huxley è ancora presente nel dibattito contemporaneo.

Scopo della mia relazione è descrivere questo sorprendente stato di cose. Per farlo – dopo un breve Prologo destinato alla descrizione dell’identificazione cartesiana tra mente e coscienza, che sancisce la nascita della filosofia della mente in senso moderno – verranno esaminati tre periodi o fasi della riflessione filosofica, collegati a tre concezioni di come offrire una teoria metafisica della coscienza.

A.
La fase della scienza cognitiva classica (anni ’70 e ’80 del Novecento) – che analizza la mente in termini di computazioni su rappresentazioni, distinguendo intenzionalità e coscienza, dove si scommette sulla possibilità di costruire teorie naturalizzate della rappresentazione/intenzionalità, rimandando la soluzione dell’intrattabile problema della coscienza a tempi migliori. Un altro aspetto rilevante dal nostro punto di vista della psicologia computazionale cognitivista è il primato dei processi sub-personali, rispetto a quelli personali. La coscienza non è più (come in Cartesio) un dato primo, ma qualcosa che deve essere spiegato.

B.
La fase delle prime teorie scientifiche della coscienza (anni ’80 e ’90) – che suscitano un enorme interesse, ma generano anche l’obiezione dei qualia/carattere fenomenico: il problema della lampada di Aladino in una versione bifronte. Come può esistere una teoria oggettiva della soggettività, e come può l’esperienza soggettiva, privata e ‘ineffabile’ che costituisce le nostre esperienze coscienti scaturire dalle interazioni fisiche e biologiche che costituiscono la ‘materia’ della mente.

C.
La fase attuale (primo ventennio del XXI secolo) con un (sorprendente) ritorno dell’idea che occorre partire dalla coscienza per capire la mente. Una svolta legata alla dottrina dell’intenzionalità fenomenica, secondo la quale alcuni stati mentali sono intenzionali in virtù del proprio carattere fenomenico, e alla tesi della fenomenologia cognitiva: l’idea che tutti gli stati cognitivi abbiano una componente fenomenologica. Per concludere possiamo citare una conseguenza della nuova centralità della coscienza, ovvero l’affermarsi del panpsichismo: la tesi secondo cui la coscienza, come dato primo e immediatamente conosciuto, è la stoffa del mondo, la sua natura intrinseca.